Dio è nato in esilio (Italian Edition) by Vintilă Horia

autore:Vintilă Horia [Horia, Vintilă]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa
ISBN: 9788869441806
editore: Castelvecchi
pubblicato: 2015-01-27T23:00:00+00:00

Era calata la notte, ero stanco e si continuava a scendere. La luna non era ancora visibile, ma a un tratto vidi come una macchia bianca in mezzo alle tenebre. Chiesi a Scorys: «È la luna?».

«Sono i miei meli».

Passavano senza interrompersi. Riuscii a contarne più di trecento e ce n’erano altri, un po’ più lontano, che sfuggivano al mio sguardo. L’erba attutiva il suono degli zoccoli. Avrei potuto pensare che fosse un’allucinazione, ma il nitrito di un cavallo e una parola gridata in una lingua che non capivo ricomposero d’un tratto il volto della realtà. Non c’erano altro che uomini, e tutti armati. Niente carri, niente buoi, niente donne o bambini che avrebbero intralciato la marcia. Lo scopo di quella cavalcata, immersa nel rosso del tramonto, era chiaro. Comozu li aveva visti per primo. Arrivammo in cima a un’altura, dove la vista poteva spaziare sopra il folto delle foreste di querce, fino alla pianura ancora lontana. I raggi del sole al tramonto producevano lunghi scintillii sui loro scudi. Loro attraversavano al passo una radura. Venivano dall’Oriente e andavano verso il Sud. Di chi erano alleati questa volta: dei Geti, dei Traci o dei Romani? Non avevano altro scopo che il saccheggio, o erano stati assoldati da qualcuno per provocare un conflitto? Spinti dalla fame o da altre tribù della steppa, cercavano nuove terre per le loro famiglie, o si erano incaricati di annunciare l’inizio della grande guerra che incombeva fra noi e i Daci? Chi avrebbe potuto dirlo? Comozu me li aveva indicati con un dito: «I Sarmati». Avviò i cavalli al trotto, il nostro carro uscì dal sentiero per fermarsi in un bosco di noccioli. Legati i cavalli in una piccola radura vicina, ci inoltrammo fra gli alberi nella direzione dei barbari. Il bosco di noccioli, disteso lungo una stretta valle che separava i due versanti, ci permise di rimanere nascosti e, giunti su una piccola altura, di guardare senza essere visti. Non c’era dubbio, marciavano su Troesmis, dove, di quel passo, sarebbero arrivati il giorno dopo al cadere della notte. Tentare di sorpassarli senza fermarci alle soste, per avvertire la guarnigione di Troesmis, sarebbe stata pura follia; appena giunti in pianura, ci avrebbero visto e catturato. Guardai i visi stanchi e polverosi che non avevano più nulla di terribile né di cattivo. Anzi, un sentimento di pena si fece strada a poco a poco nel mio cuore. Quei Sarmati erano spinti verso il Sud dalla fame o dalla paura.

Mi ricordai dei Geti che avevano attaccato Tomi, i primi tempi del mio esilio. Cercavano la ricchezza degli altri per sopire la propria fame, o speravano di trovare, da qualche parte, un posto al sole in cui lavorare in pace, per allevare bambini al riparo delle frecce scite. Capaci di uccidere e di incendiare, lo facevano per non soccombere a loro volta sotto l’incalzare di altri barbari, spinti anche loro verso Occidente da altre orde, più disperate, e perciò più forti, e così via. Tutto lo spazio che si estendeva

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